Centro Italia: è di nuovo emergenza.
In questo momento di emergenza ogni considerazione appare superflua e inappropriata, ma purtroppo è spesso la tragicità a rivelare la realtà delle cose e soprattutto a far parlare (anche a sproposito). Non esistono colpe né responsabili quando è la forza della natura a ribellarsi violentemente, ma esistono argomentazioni utili o deleterie. L’Italia è un territorio ad elevato rischio sismico. Nei primi anni 2000 era stato inserito il “fascicolo del fabbricato“, un documento obbligatorio per ogni edificio, che serviva a tenerne sotto controllo la storia, la stabilità, la sicurezza, la vulnerabilità anche rispetto al rischio sismico, abolito incomprensibilmente dieci anni fa.
“L’Italia e’ un Paese strano: abbiamo la revisione alle auto ma non il Fascicolo del Fabbricato”
Lo ha detto ad Aprile all’Aquila il sindaco della citta’, Massimo Cialente, che continuava:
“…purtroppo abbiamo il problema dei tempi italiani, ma oramai l’Italia è questa e mi rassegno con ricorsi e controricorsi e burocrazia. L’Italia e’ il Paese del paradosso perchè se da una parte in assenza di revisione alla macchina scatta il sequestro dell’auto, dall’altra parte viviamo invece in case di cui non sappiamo lo stato di sicurezza. Inoltre a crollare sono stati proprio quegli edifici costruiti in cemento armato negli anni 60 – 70 e dunque nuovi. Non dobbiamo pensare al consenso elettorale ma a costruire un Paese sicuro.”
A distanza di qualche mese una nuova emergenza nel Centro Italia, un terremoto di magnitudo 6.1 che rade al suolo interi paesi e centri abitati. Ora l’attenzione è di nuovo focalizzata su quello che si poteva fare e, realisticamente, su quello che bisogna fare per prevenire e comunque contenere o limitare i danni, nella consapevolezza della ciclicità di tali eventi calamitosi.
La situazione degli insediamenti e la messa in sicurezza
Per la messa in sicurezza del patrimonio abitativo degli italiani da eventi sismici medi il costo complessivo è “pari a circa 93 miliardi di euro”. E’ uno dei dati forniti dal Consiglio nazionale degli ingegneri (su elaborazione del suo Centro studi), a seguito degli eventi tragici nell’Italia centrale. Il complesso delle abitazioni residenziali, recita il dossier, “si presenta particolarmente vetusto e, per questa ragione, potenzialmente bisognoso” di interventi: circa “15 milioni di case (più del 50% del totale) sono state costruite, infatti, prima del 1974, in completa assenza di una qualsivoglia normativa antisismica”. E, inoltre, almeno “4 milioni di immobili sono stati edificati prima del 1920 e altri 2,7 milioni prima del 1945”.
Secondo i professionisti, la quota di immobili da recuperare, sulla base dell’esame dei danni registrati alle abitazioni de L’Aquila e delle condizioni del patrimonio abitativo raccolte dalle indagini censuarie, “è pari a circa il 40% delle abitazioni del Paese, indipendentemente dal livello di rischio sismico”.
Il comunicato stampa del CNI (scarica il comunicato stampa in PDF > clicca qui)
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha divulgato un comunicato stampa dove Zambrano interviene esortando a puntare sulla prevenzione, ricorrendo alle tecniche e le competenze di cui – grazie alla ricerca degli ultimi anni – già si dispone, per la messa in sicurezza degli edifici a rischio.
Nel comunicato si legge:
” la conoscenza del livello di sicurezza di un edificio deve diventare parte essenziale della sua carta di identità. E’ assurdo constatare come in una compravendita di un immobile venga chiesto il certificato di classe energetica e non un documento che attesti l’adeguamento dello stesso alle norme antisismiche”.
Zambrano continua:
“Università, professionisti e mondo scientifico hanno elaborato negli anni tutta una serie di tecniche che possono rendere tutti gli edifici sicuri. Non c’è fabbricato che non possa essere migliorato da un punto di vista sismico. Da anni studiamo queste problematiche, siamo all’avanguardia nel mondo e oggi siamo in grado di risolverle anche a costi tutto sommato accettabili”.
“I paesi colpiti – ha detto – possono sicuramente essere ricostruiti mantenendo il tessuto edilizio. E’ la direzione da seguire, evitando di ripetere gli errori commessi nel passato con le new town che, alla lunga, hanno un impatto sociale insostenibile. Anche perché costruirle spesso costa assai più che intervenire sul costruito. L’importante, però, è fare presto. In questo senso noi ingegneri siamo a disposizione per la scrittura di regole precise che superino le pastoie burocratiche e consentano alle persone di rientrare al più presto nelle proprie abitazioni. Nell’immediato, noi già da venerdì metteremo a disposizione 1600 ingegneri che si occuperanno di valutare le condizioni delle singole abitazioni, in modo da consentire ad una parte dei cittadini colpiti di rientrare in casa nelle massime condizioni di sicurezza”
Il parere dell’Arch. Galimberti
Parere diverso quello della Galimberti (per approfondire > clicca qui) che ritiene invece più appropriata una ricostruzione ex novo invece di un’intervento sull’esistente:
“Oggi la tecnica costruttiva ha compiuto progressi giganteschi. Però, senza scelte precise, il pericolo è di spendere due volte. E di rischiare vite umane. «L’Italia ha un patrimonio di edilizia scolastica afflitto da straordinaria vetustà – continua Galimberti –. Il 48% degli oltre 42mila edifici esistenti risale a prima degli anni Settanta. Occorre intervenire con capacità di spesa e strategia di investimento. Intanto gli stanziamenti per i progetti in corso – #labuona scuola, scuole innovative, indagini diagnostiche, sblocco cantieri, nuova edilizia scolastica, mutui Bei – hanno chiaramente invertito la tendenza». Ma non azzerato i rischi, a quanto pare. «Vuol sapere la verità? Preservati gli istituti di valore storico, questo Paese farebbe molto meglio e molto prima ad abbattere e ricostruire tutto quello che non va»”
Ma se i fondi necessari all’adeguamento e alla messa in sicurezza sono tanti, quelli richiesti per un eventuale ricostruzione sarebbero addirittura troppi: è vero poi che le risorse necessarie alla messa in sicurezza sono difficili da mobilitare, specialmente in uno Stato, come quello Italiano, dove le strutture pubbliche, le prime su cui intervenire, appartengono a Comuni e Province e dove le programmazioni d’intervento sono delegate alle singole Regioni. La mancanza di un coordinamento centrale e di una mancanza di interazione tra istituzioni e professionisti, rende impossibile il raggiungimento di accordi e quindi lo stanziamento di fondi. (Per approfondire > clicca qui.)
Norcia: la buona ricostruzione
Significativo il caso di Norcia, salvata dalla “buona ricostruzione” messa in atto dopo i terremoti degli anni 90:
“i danni sarebbero stati probabilmente peggiori se non ci fossero stati alcuni interventi antisismici dopo i terremoti negli anni Novanta”, ha ribadito la presidente Marini. “Questo conferma – ha commentato la presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, che ha sentito al telefono la collega umbra – che la prevenzione, quando è fatta in modo oculato e senza sprechi, è estremamente utile e importante“. (Per approfndire > clicca qui.)
E’ un argomento estremamente complesso: quello su cui tutti i tecnici si trovano oggi d’accordo è – oltre alla necessità di programmare interventi di messa in sicurezza – l’urgenza di una trasformazione a livello burocratico.
Lo studio di vulnerabilità
Per le professioni tecniche il primo tassello per arrivare a un cambiamento storico è la “verifica di vulnerabilità” degli edifici. Si tratterebbe di creare una scala, come per l’energia, assegnando una lettera per ogni grado di pericolosità in caso di terremoto. Servirebbe per modulare gli incentivi (in base al passaggio da una lettera all’altra) e per attribuire un valore diverso alle case in diverse condizioni al momento della vendita. «Oggi noi non sappiamo nulla della casa dove viviamo», dice Fabio Freddi dell’associazione Isi, Ingegneria sismica italiana. Per stilare le linee guida relative alla valutazione del rischio sismico, nel 2013 il ministro Maurizio Lupi mise in piedi un gruppo di lavoro. Le bozze delle linee guida furono presentate nel 2015 al ministro Delrio. L’atteso decreto attuativo, promesso dal governo anche dopo un’interrogazione parlamentare la scorsa primavera, però non è ancora arrivato.
E’ la burocrazia lenta e inefficiente a rendere impossibile ogni evoluzione del sistema che periodicamente si incastra in reti di spreco e abuso.